Comunemente considerato come tipico della zona caraibica, il rum si collega nell’immaginario collettivo a lidi sabbiosi cristallini, ad acque turchesi, a palmizi chinati sul bagnasciuga e a ritmi tropicali.
In realtà, la materia prima da cui nasce, ossia la canna da zucchero, è originaria dell’Asia tropicale, così come le rudimentali bevande alcoliche da essa derivate.
Si tramanda che sia stata portata in Asia Minore da Alessandro Magno dalla spedizione in India da lì si diffuse gradatamente in tutto il bacino del Mediterraneo.
In seguito, spagnoli e portoghesi impiantarono la canna da zucchero alle Canarie e a Madeira.
Da quelle isole pare che Colombo, nel suo secondo viaggio nelle Americhe, la trasportò sull’isola di Hispaniola (l’odierna Santo Domingo).
Grazie al clima estremamente felice attecchì rigogliosa e, verso il 1515, olandesi, inglesi, spagnoli e francesi cominciarono a pianificarne la coltivazione per la produzione di zucchero nelle loro colonie in tutti i Caraibi e sulla terraferma del Centro e Sud America.
Come si produce oggi il rum? Si fa fermentare la melassa, sottoprodotto della lavorazione del zucchero, e la si distilla in alambicchi continui a colonna; il rum così ottenuto è meno complesso e viene affinato in botti d’acciaio o in quercia per periodi più brevi.
In commercio, le tipologie sono svariate: il rum “agricolo” può essere di due tipi: chiaro (light, white, grappe blanche) o scuro (anejo, vieux, dorato), invecchiato almeno tre anni, dal titolo alcolico fra 50 e 55%.
Quello di melassa o industriale può essere bianco, dal corpo leggero adatto alla miscelazione, ambrato, scuro, speziato, fino alle grandi riserve premium e superpremium.
Il rum è un distillato versatile adattissimo ai cocktail, ma liscio, soprattutto se è un cru di rilievo, è un ottimo fine pasto o da meditazione, accompagnato magari da frutta secca, cioccolato fondente o…un buon sigaro Avana.
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