Assenzio, il fascino della “fata verde”

Nonostante la sua immagine “maledetta”, è un ottimo aperitivo e, dopo pasto, un altrettanto valido digestivo

 

Nessun liquore come l’assenzio porta con sé un’aura un po’ inquietante, un’immagine “maledetta” legata alle sregolatezze bohèmienne in cui si perdevano artisti ed emarginati verso fine Ottocento, soprattutto in Francia, in cerca di ispirazione o conforto.
La fama decisamente immeritata di pericoloso allucinogeno portò alla sua proibizione per vari decenni in quasi tutta Europa, guidata da interessi non del tutto limpidi, per contrastare la piaga dell’alcolismo.
In realtà l’assenzio è un innocente distillato e, come per tutti gli alcolici, è l’abuso a creare danni alla salute anche irreparabili. È considerato un ottimo aperitivo e, dopo pasto, un altrettanto ottimo digestivo.
Della “fata verde” , come era soprannominato, si narra che il suo profumo permeasse i boulevard parigini tra le 17 e le 19; il suo basso costo cominciò ad allarmare i produttori di vino, birra e cognac ma, va detto, circolavano molti surrogati di assenzio di bassa qualità e dannosi alla salute. Giunse presto il declino: l’assenzio fu la prima vittima della campagna contro l’alcolismo promossa dal governo francese.
Da un paio di decenni è tornato sui mercati europei, disciplinato da regolamenti della Ue. Oggi circolano sul mercato numerose marche di assenzio “moderno” ma spesso hanno solo una lontana parentela con quelli dei tempi che furono.
Ancora però vengono prodotti assenzi di gran qualità con ricette originali del XIX secolo in Svizzera, Francia e Austria, tra tutti il pregiatissimo “Jade” prodotto negli alambicchi originali della Pernod Fils di Pontarlier.

 

 

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