Dry Martini, le cento declinazioni di un mito

Il Majestic Palace Hotel di Sorrento ospita l’unico cocktail bar Dry Martini.
Ne parliamo con Lucio D’Orsi, manager e bartender

Ha riaperto a giugno, pronto ad accogliere un pubblico di appassionati del bere miscelato e di un luogo intriso del fascino della penisola sorrentina e del mito di un locale unico in Italia.
Il locale è il Dry Martini by Javier de las Muelas, un format che si trova solo in Spagna, a Londra, in Messico e, dal 30 maggio 2018, anche al Majestic Palace Hotel di Sorrento.
La sua anima è Lucio D’Orsi. Riduttivo definirlo “semplicemente” bartender, visto che la sua inesausta passione lo ha portato a diventare general manager non solo del Dry Martini, ma dell’hotel e del ristorante stellato Don Geppi, inaugurato nel 2014 all’interno del Majestic Palace.
Raggiungiamo il nostro interlocutore in un periodo di grande fermento per l’hotel, che finalmente ha potuto voltare pagina dopo le settimane dell’emergenza.

Quali cambiamenti avete introdotto per rispettare le regole di igiene e di distanziamento?
Fortunatamente per adeguarci alle normative della fase 2 non abbiamo dovuto stravolgere la nostra struttura.
Il ristorante ha infatti solo cinque tavoli per quattordici coperti e già prevedeva un distanziamento abbastanza ampio. Insomma, applicavamo le misure Covid-19 senza saperlo…
Quanto al bar, in realtà il Dry Martini è suddiviso in due location distinte: una a bordo piscina, l’altra sulla terrazza panoramica.
Quest’ultima non prevede tavoli e sedie, ma solo poltrone e divani: l’unico intervento ha riguardato la riduzione del numero di sgabelli al bancone. Resta intatta, dunque, l’atmosfera di un locale che è un’icona di stile, servizio, attenzione, innovazione costante nella mixologia.

A proposito: come si è evoluta la mixology in Italia?
In passato, al bar si ordinava soprattutto un amaro o una grappa. I baristi che si avventuravano nella miscelazione creavano, al di là di alcuni classici, cocktail spesso molto squilibrati, che finivano con l’allontanare i clienti.
Negli ultimi anni, la professione del bartender si è pian piano affermata e qualificata, anche grazie al sostegno delle riviste e dei siti specializzati, che hanno contribuito a farla conoscere e a rafforzarne l’immagine.
Certo conta l’esperienza: lavorare al bancone del bar di un albergo significa fare il giro del mondo dei gusti e degli stili dei clienti, stando fermi. Un’opportunità non da poco.

E come sono cambiati i gusti dei clienti del Dry Martini?
Tre anni fa, l’apertura del bar ha creato molta curiosità.
I “martiniani” sono oggi almeno raddoppiati e hanno potuto scoprire le moltissime declinazioni del Martini nella mixology. Tutto questo senza dimenticare che si tratta di un cocktail non facile da eseguire.
Mi piace affermare che forse il Martini perfetto non esiste, ma è comunque fondamentale osservarne le tre regole auree: temperatura, qualità degli ingredienti (una zest di limone può fare la differenza: noi usiamo quelli bio del nostro giardino) e giusta diluizione.
Tornando all’evoluzione dei gusti, direi che è stata lenta e costante: si è passati da un menù basato sulla miscelazione classica a una crescente curiosità dei clienti, opportunamente stimolata, per gli ingredienti, i prodotti, le tecniche.

In sintesi, come declinate l’offerta al Dry Martini?
Abbiamo in carta 180 proposte cocktail: 100 sono declinazioni di Martini, tutte a 13 euro a eccezione del Porn star Martini, che è affiancato da una flute di champagne e quindi è un po’ più costoso.
Il servizio è un vero e proprio rito: i Dry Martini vengono eseguiti esclusivamente in un’area dedicata del bancone chiamata altare. Un counter segnala il numero di Dry Martini venduti. Al cliente rilasciamo un certificato con il numero corrispondente al suo Dry Martini, il suo nome, la data e il luogo della consumatore.

Quali sono i momenti clou del servizio?
Senza dubbio il predinner, con il sole che tramonta dietro Ischia, il mare e il capo di Sorrento di fronte, e il post dinner, con le luci del Golfo: un colpo d’occhio incredibile.

Al di là del Martini, quali alcolici ama utilizzare?
Sul podio metterei gin (al bar della piscina ho una selezione di 160 etichette, con una buona rappresentanza di gin italiani), bourbon e vodka, capisaldi della miscelazione.
Mi piace molto anche il vermouth: ne contiamo 42 diversi, tra bianchi, rossi e dry: molti italiani (ovviamente quelli autentici, non gli aperitivi), affiancati da qualche bottiglia spagnola, tedesca e francese.

Che ruolo ha la formazione in questa professione?
Ha un’enorme importanza: nel mio curriculum c’è anche l’attività di formatore, consulente e docente di food&beverage in master all’Università Federico II di Napoli e alla Sapienza di Roma.
Ecco perché secondo me la formazione è vitale: mi piace dire che chi non si forma si ferma.
Al Majestic Palace sono previsti briefing quotidiani e i ragazzi (circa 50, di cui sette al Dry Martini) seguono una formazione continua.

Come si può definire la figura del bartender?
E’ un interlocutore diretto, un attore sempre in scena e oggi, dopo l’emergenza, ha una responsabilità ancora più grande. Allo stesso tempo, non deve commettere l’errore di imporre il proprio stile o le proprie idee: non deve essere egocentrico, perché la vera rockstar è il cliente.

 

LA RICETTA
Wild Wild Breakfast

Ingredienti:
4 cl Maker’s Mark bourbon 1,5 cl Martini Rosso 1,5 cl Triple Sec 3 drops Droplets by Javier de las Muelas Van Gogh Absinthe 2 fette di arancia 2 tea spoon di marmellata di arance amare del Don Geppi restaurant
Spuma agli agrumi
Garnish: 1/2 fetta di pompelmo rosa disidratata e un ciuffetto di menta

Preparazione: Preparare la spuma di agrumi in un sifone. Pestare leggermente le fette di arancia nello shaker e aggiungere il resto degli ingredienti.
Shakerare energicamente con abbondante ghiaccio e versare in un bicchiere colmo

 

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