La rivoluzione della pizza

Negli ultimi trent’anni la pizza ne ha fatta di strada, e da piatto povero è diventata a tutti gli effetti una proposta cool

 

Rispetto al passato oggi non c’è solo più qualità, assicurata dalla ricerca sulle farine e i lieviti, ma anche più varietà nelle farciture. La pizza è ormai interpretata come un vassoio, si può guarnire con qualsiasi prodotto.
E spesso si ispira all’alta cucina, come insegnano chef del calibro di Simone Padoan o di Massimo Bottura.
Così oltre ai gusti classici, in menù compaiono abbinamenti originali e ingredienti pregiati.
Un passo in avanti reso possibile dal dialogo tra pizzaiolo e chef, conquista peraltro abbastanza recente. Come ricorda Gino Sorbillo, il re della pizza napoletana, tra i pionieri nell’utilizzo del lievito madre, «tra le fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta molti ristoranti decisero di eliminare la pizza perché veniva percepita come fattore squalificante per il locale. A quell’epoca i rapporti tra chef e pizzaioli erano praticamente inesistenti, a differenza di oggi».
La svolta risale alla prima metà degli anni Novanta quando diventa una tendenza disporre il forno accanto alla cucina, favorendo quindi la contaminazione tra i due reparti.
E se le più richieste restano le pizze classiche, è sempre meglio diversificare l’offerta.
«In termini di numeri, Margherita, Capricciosa e Marinara vanno per la maggiore, ma resta importante offrire nuove proposte per differenziarsi e per rispondere al desiderio di novità dei clienti» - puntualizza Federico De Silvestri, primo classificato ai campionati mondiali di pizza 2016 per la migliore pizza senza glutine, titolare della Pizzeria Quattrocento di Marzana (Vr). 

 

 

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